Cinque minuti con… Tommaso Santambrogio
Dopo la vittoria del premio Casa Rossa al 42° BFF, come è proseguito il tuo percorso e di Gli oceani sono i veri continenti?
Il film ha continuato e sta continuando a viaggiare tanto, sia per i festival di tutto il mondo che a livello distributivo. è da poco uscito in sala negli USA, e in Italia è approdato su MUBI. Dal canto mio, la vittoria del premio Casa Rossa ha contribuito a dare un’iniezione di fiducia fondamentale per la scrittura del prossimo progetto, su cui ora sto lavorando.
Quali sono i cinque consigli (o non-consigli) che daresti a un* giovane regista?
Non penso di essere già nella posizione di dare consigli. Se proprio dovessi dare cinque indicazioni, prendendole con le pinze, direi:
– portare avanti con determinazione il cinema che più si sente proprio, senza cedere a compromessi; se ci si compromette da giovani poi è difficile tornare indietro.
– uscire dalla propria comfort zone, cercando di aprirsi al mondo.
– sforzarsi di intercettare la contemporaneità, che non significa inseguire le notizie, ma ascoltare e interrogarci su ciò che ci accade attorno.
– fare cinema con persone della propria generazione, creando un gruppo di lavoro con cui crescere umanamente e artisticamente.
– fare cinema è una cosa seria, ma non bisogna prendersi troppo sul serio; è essenziale continuare a giocare, a divertirsi e a stupirsi.
Cos’è per te oggi il cinema indipendente e cosa pensi che sarà in futuro? Non solo come genere cinematografico, ma anche come identità e modo di fare cinema.
Il cinema indipendente è il motore più autentico dell’evoluzione artistica e linguistica della settima arte. È il luogo in cui si sperimentano nuovi processi creativi e soluzioni estetiche, preservando una freschezza ormai rara in un sistema industriale sempre più asfittico e sterile. Riflette sul contemporaneo, sulla narrativa dominante, e mette in discussione tanto le forme linguistiche del canone quanto quelle della società in cui viviamo. Ma soprattutto, è un cinema che accoglie l’imperfezione e, con essa, l’umanità – un valore oggi più importante che mai.
Credo che il cinema indipendente continuerà a essere lo spazio in cui interrogarsi e indagare il mondo e l’essere umano attraverso il linguaggio cinematografico in modo autentico, contribuendo a modellare le identità e la cultura del presente e del futuro.
Se dovessi definirne l’identità, direi che sta nella capacità di riconoscersi nella libertà del proprio sguardo e in una comunità che cerca di mantenere un pensiero autonomo e originale, anche a costo di andare controcorrente. Essere indipendenti significa cercare ostinatamente l’orizzonte, anche quando tutto sembra volerlo ostruire, inventando nuove strade e nuove forme.
Qual è il tuo punto di vista sullo slow cinema, ha ancora spazio? Può essere una forma di resistenza contro il consumismo dell’industria cinematografica?
Penso che, col passare del tempo, lo slow cinema appaia sempre più radicale, ma forse proprio per questo continuerà a esistere e a espandersi. Il cinema che cerca di rincorrere affannosamente la velocità tecnica e linguistica della tecnologia contemporanea mi fa quasi tenerezza: parte già sconfitto. Credo che interrogarsi sul tempo diventerà sempre più cruciale dal punto di vista sociale, e lo slow cinema è il movimento che più di ogni altro esplora e riflette sulla dimensione temporale del cinema.
Se sia una vera forma di resistenza al consumismo non lo so. Di certo critica la produzione di film pensati esclusivamente per il mercato e la domanda del momento. Fa ciò che l’arte dovrebbe sempre provare a fare: imporsi sull’industria cinematografica per trovare, attraverso questa imposizione, un dialogo autentico con lo spettatore. Mettiamola così: lo slow cinema è una forma cinematografica che detta le sue regole e lascia allo spettatore la libertà di accettarle o meno. E forse proprio per questo ne rispetta maggiormente l’intelligenza. È ciò che il cinema, soprattutto quello indipendente, deve e dovrà sempre fare.
